"L'uomo mortale non ha che questo di immortale, il ricordo che porta e il ricordo che lascia"
Forse è per questo che si scrive, sicuramente è uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere alcuni dei miei romanzi, Pavese forse sapeva che i suoi ricordi avrebbero continuato a vivere dopo il suo suicidio.
Pupi Avati non mi ha sempre convinto, ho trovato alcuni dei suoi film troppo nostalgici, densi di malinconica e spesso eccessiva ricerca del passato come stagione naufragata di fronte a un presente squallido.
Ma anch'io come lui sto invecchiando e uno dei mali della vecchiaia è la sensibilità eccessiva che ci porta a diventare sentimentali.
Il film che ho appena terminato di vedere in uno dei periodi più lunghi di convalescenza della mia vita, e uno dei più piacevoli, ha toccato le corde del mio presente.
L'amore alla fine, quando dura tanto, quando è alla base di una storia di coppia, è denso di ricordi che invecchiando tendono a dissolversi, svaniscono come la nebbia di certe albe emiliane.
Alla fine la storia è tutta qui, sia quella del film che delle nostre vite.
Si scrive per cercare, inutilmente, di fermare ricordi, sensazioni, sentimenti, si scrive per diventare immortali, se non per gli altri almeno per coloro che abbiamo profondamente amato.
Pupi Avati è l'unico grande autore che ha risposto con una lettera a un mio scritto, come probabilmente fa con tanti piccoli scrittori come me, una lettera standard cortese e proprio per questo spietata.
Dopo la sua lettera ho smesso di spedire i miei libri a chicchessia, ma ho apprezzato la sua eleganza e gentilezza.
Grazie Pupi Avati per il tuo cinema.
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