martedì 24 aprile 2018

Come un gatto in tangenziale




Non pensavo mi sarebbe piaciuto, colpa di Albanese che negli ultimi anni mi ha abituato ad alcuni dei più brutti film italiani che mi sia capitato di vedere, colpa del cinema italiano che continua a sfornare commedie che non fanno ridere, anzi fanno spesso piangere.

Invece mi è piaciuto, coppia perfetta,  Albanese (dimagrito?) e una Cortellesi in stato di grazia, insieme in un film intelligente.

Fuori dalla solita retorica del volemose bene, siamo tutti clandestini, siamo tutti uguali. La periferia descritta nel film è sicuramente fittizia e ridondante, ma dà l'idea.
Ci sono luoghi brutti oltre ogni possibile capacità di integrazione e la contaminazione è una parola buona per politici con la faccia di bronzo, buonisti della domenica, e aspiranti rivoluzionari della porta accanto.

Ci sono luoghi nelle nostre periferie che fanno paura, anfratti bui dove regna degrado, ignoranza, odori sgradevoli e molta disperazione.

Ci sono altri luoghi sempre nelle nostre città, per pochi eletti, da noi li puoi trovare in collina, dietro muri di cinta invalicabili, con sistemi di allarme e cani ringhianti, ci sono persone che mai e poi mai potranno incontrarsi e mai cambieranno, il destino ha già scelto la loro strada e non ci sono progetti o 
chiacchiere che serviranno a cambiare le cose.

Il film racconta più o meno questa verità e come un uomo e una donna distanti anni luce possano incontrarsi comunque a dispetto delle loro origini per una storia che magari avrà vita breve, come un gatto in tangenziale.





Nessun commento: