Vi regalo un racconto della raccolta Bolognesi per caso, su gentile concessione della Giraldi che ringrazio. Questo racconto, prologo in un certo senso di un romanzo noir e non solo che uscirà nella primavera del 2017, è dedicato a due amici scomparsi sul Bianco nell'inverno del 1985.
Non è vero che si dimentica, certe persone, certi affetti, rimangono nel tempo e ci accompagnano, cambiando al massimo di consistenza e intensità.
Invecchiando mi trovo sempre più spesso a fare i conti con i miei fantasmi, mi fanno compagnia, mi consolano talvolta, mi consigliano, coloro che non ci sono più rimangono dentro di noi e assumono i tratti, le sembianze, che noi decidiamo di dare loro.
Alla fine sono i nostri fantasmi le persone che ci conoscono meglio, che osservano senza giudicare, che accompagnano senza recriminare.
Regalo questo breve racconto ai miei ex compagni del Righi che sicuramente non avranno comprato il libro, e a tutti quelli che come me nel 1985 non immaginavano ancora un mondo con telefoni cellulari e tutte le minchiate che ogni giorno siamo costretti a subire dalla rete.
Chissà
i ragazzi
Chissà i ragazzi come
se la sarebbero cavata qui e adesso.
Erano in gamba
avrebbero trovato una loro sistemazione, ne sono certo. Uno era rosso di
capelli e aveva un bel fisico, magro e muscoloso, vero alpinista, aveva
coraggio da vendere, sarebbe diventato un medico e lo immagino adesso con i
capelli rossi appena ingrigiti, ma i capelli rossi diventano grigi? Chissà. Lo
immagino in un qualsiasi reparto del Maggiore di Bologna, chirurgo, perché lui
aveva quella grinta un po’ bastarda che tanto mi faceva ridere, mi piaceva,
era vitale, vitale da morire. Gli
piacevano le donne e le faceva soffrire, come può capitare a vent'anni, quando
il corpo ha bisogno di sperimentare, ha bisogno di esplorare. Ricordo che mi
convinse a fare domanda in un’agenzia pubblicitaria che cercava modelli per i
giornali, e di quel pomeriggio conservo ancora le fotografie, grandi, sgranate,
in bianco e nero che non ci rendevano merito. Aveva una voce leggermente afona
e io la ricordo così, ma chissà se è vero, la voce degli amici bisognerebbe
registrarla e conservarla in qualche file protetto, e nasconderla in cantina
insieme al buon vino, perché è la prima cosa che dimentichi di chi hai amato e
quella non la ritrovi.
Il cervello ti
frega, si deteriora e imputridisce, come tutto il resto, non ce la fa a
conservare le informazioni, i visi, le espressioni, tutti i piccoli particolari
che riempiono le giornate, colmando gli spazi, componendo amicizie, amori,
affetti e nello stesso tempo anche noia, abitudine, rancore.
L’altro era un
vero capo, ma chissà se lo sapeva, era più piccolo del rosso, spalle larghe e
braccia da boscaiolo, peloso e barbuto, era un filosofo, non aveva ancora
capito cosa fare del suo futuro, lo persi di vista nell'ultimo periodo, ma era
un pezzo della mia vita, uno di quelli difficili da digerire e dimenticare,
aveva una fisicità contagiosa, e una capacità innata di consumarsi dietro le
passioni, la musica, la letteratura, la montagna, i viaggi, le donne.
Ricordo i suoi
amori fulminanti e visionari, spietati e senza speranza, si innamorava,
soffriva e ti contagiava con la sua angoscia, ti riempiva le giornate che
diventavano confuse come fossimo sempre ubriachi, e spesso lo eravamo. In quel
tempo non c’erano i cellulari, non c’era internet, neanche la rete, potete
immaginarlo? C’eravamo solo noi, negli epici anni ottanta, i primissimi anni ottanta,
ci telefonavamo dalle cabine per strada o dai duplex dei genitori. Ci
incontravamo in luoghi prestabiliti sotto casa, o davanti al Righi, più o meno
alla stessa ora, se uno arrivava prima aspettava, non poteva chiamare al
cellulare per sapere per quale motivo non eri puntuale, ma alla fine ci si
trovava sempre. Ci scrivevamo lettere, piene di scarabocchi a volte disegni
magnifici, a volte bestemmie urlate sulla carta, e le lettere inseguivano i
mesi e gli anni, e si andava al cinema con due lattine di birra e un pacchetto
di sigarette, non si scaricavano i film dalla rete, non si vedevano su Sky
perché non esisteva ancora, e tutto era
essenziale, non meno bello, semplicemente diverso, perché ancora non
conoscevamo le meraviglie del possibile.
Uno dei due, il
rosso, era fisico, indistruttibile, simpatico, travolgente, lavorava come
maschera nelle fiere della città, studiava e aveva degli obiettivi.
L’altro era un
sognatore, un karateka, un guerriero e un filosofo allucinato, sempre in
viaggio per il mondo, sempre in sfida con se stesso.
E adesso cosa
direbbero trovandosi di fronte il futuro?
Se lo avessero
vissuto in diretta come è capitato a noi, il rosso lo vedrei con un tablet
collegato perennemente alla rete, un occhio al piano degli interventi
chirurgici della settimana e un occhio alla hostess conosciuta sull'ultimo volo
Cuba Bologna, una carina, alta, gambe lunghe e molta fantasia.
L’altro avrebbe
creato un blog, come Grillo, ma più simpatico, non per inventarsi un movimento
di opinione, ma per movimentare le idee, i sogni, avrebbe postato poesie,
avrebbe iniziato dibattiti filosofici e litigato e incantato come sempre, gli
sarebbe piaciuto Facebook e Twitter, perché era nato per la comunicazione, per
interagire con il mondo.
Se tornassero oggi
mi prenderei una settimana di ferie e ci chiuderemmo in un qualsiasi
appartamento e lì potremmo divertirci a scoprire tutta la tecnologia che hanno
perso, inizierei dai cellulari, e me li vedo i ragazzi increduli, stupiti,
subito reattivi, il rosso si sarebbe procurato un iPhone ultima generazione,
con navigatore e tutte le applicazioni possibili.
Il filosofo si
sarebbe accontentato di un BlackBerry e avrebbe trascorso ore al telefono come
faceva abitualmente con il fisso di casa sua.
Con il rosso mi
sarei divertito mostrandogli l’alta definizione del mio xbox, anche a lui
sarebbero piaciuti i giochi. L’altro si sarebbe buttato subito nella rete
facendola sua, un nuovo universo con il quale giocare.
Torno alla realtà, sono solo, come sempre circondato
da persone che velocissime si scambiano messaggi, si inviano immagini, musica,
video porno, giochini buoni per un qualsiasi telefonino ultima generazione, in
linea di massima perdono tempo, si alienano, il guaio è che lo fanno a ritmo
continuo, come se tutta la matematica applicata al futuro sia stata elaborata
solo per fotterci la fantasia.
Controllo gli ultimi messaggi di whatsapp, e penso che
sia una grande invenzione, posso mandare messaggi e fotografie e musica
praticamente gratis, ma in realtà lo uso poco, utilizzo una percentuale
piccolissima della tecnologia a disposizione perché sono abbastanza vecchio da
non necessitare di tanti contatti virtuali, mi interessano di più quelli ravvicinati,
magari davanti a una buona bottiglia di lambrusco e un piatto di tigelle e
affettato, però ci vado in rete, Facebook, twitter, ho persino un blog e come
tutti gli uomini d’esperienza non compromessi
scrivo ciò che mi piace, ormai solo
cinema e letteratura e il pensiero dei
ragazzi scaraventati per un sortilegio in questo tempo, è solo un gioco,
lo so, ma serve a fermare la testa, serve a riflettere sull'accelerazione dei
nostri giorni dove diamo tutto per scontato, tocchi uno schermo qualsiasi e viaggi
dall'altra parte del mondo, ma quando ripenso a loro lo so che non potrò
incontrarli in rete, perché se ne sono andati prima di potere lasciare
un’immagine, un suono, un segnale.
Sapete quei segnali nella notte più buia che indicano il cammino verso la salvezza?
Un razzo nel buio della notte lanciato da una
qualsiasi riva.
Loro non hanno avuto modo di lanciarlo né per salvare
me né per salvare loro stessi.
Chissà se quella maledetta notte avessero avuto i
cellulari sul Bianco come sarebbe finita? Ci avete mai pensato? Forse almeno
uno si sarebbe salvato, il più tarchiato, il più generoso, non si sarebbe
scapicollato nel buio di un percorso pieno di crepacci in cerca di soccorsi
tanto lontani quanto inutili. Avrebbe telefonato al rifugio Torino e in pochi
minuti sarebbero arrivati con le corde e almeno lui non sarebbe caduto in corsa
in un altro crepaccio.
In quel caso il progresso avrebbe salvato una vita e
io ora non sarei qui come un cretino a chiedermi come si sarebbe sviluppato il
loro futuro.
O addirittura avrebbero utilizzato una nuovissima
applicazione del cellulare del rosso, una di quelle apparentemente inutili che
però ti analizza la montagna e ti mostra i sentieri meno pericolosi,
mostrandoti i crepacci, rammentandoti di marciare legato al compagno verso la
parete, un’applicazione tanto specialistica quanto costosa che lui avrebbe
avuto, perché gli piacevano molto le cose superflue, e in quel caso gli
avrebbero salvato la vita, sarebbero rimasti al caldo del rifugio o avrebbero
scelto un’altra strada per la parete del bianco in quella notte di trent'anni fa.
In quell'anno il cellulare forse era solo un’idea in
testa a qualche giovane americano brufoloso, o forse era solo un’idea per un
romanzo di fantascienza.
Allora saltavano ancora i treni e il terrorismo andava
per la maggiore nel nostro paese.
Il futuro mi è venuto incontro e rimango qui nella mia
navicella tecnologica mentre tutti mi scivolano intorno, e mi attraversano,
senza una reale interazione, senza una effettiva coscienza.
Loro invece, i ragazzi, rimangono là nel buio di
quella notte, senza avere potuto contaminarsi del nostro nulla e mi rendo conto
solo ora che sono molto più vivi di noi.
Chi fosse interessato agli altri racconti li può trovare in libreria, o qui
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