sabato 13 agosto 2016

azzurro




Era il 1968 io avevo 9 anni e il ricordo di un'estate è tutto in questa canzone.
Non mi ricordo di com'ero, immagino un ragazzetto carino, magro, molti capelli ricci e castani, pantaloni corti e una vaga idea di estate.
Ricordo una casa nel verde di Porretta Terme sopra la piscina olimpionica, gli zii più giovani che vivevano in quel luogo e una stanza fresca nell'ombra di un pomeriggio estivo e poi ricordo il mangiadischi, un ordigno misterioso e affascinante che sapeva di possibilità, di benessere, di anni sessanta.
Infilavo il 45 giri nel mangiadischi e all'improvviso la magia dell'estate era tutta lì, nelle parole di Paolo Conte, nella voce roca di Celentano.
Non conoscevo Paolo Conte, conoscevo Celentano, già un'icona nell'immaginario collettivo.
Quel brano mi pare ancora di vederlo più che ascoltarlo, perché il racconto dell'estate di Paolo Conte era tanto vivido quanto condivisibile.
Immaginavo me stesso passeggiare in quel giardino fra   oleandro e baobab, inventandomi un'Africa o un paese esotico come immaginavo  Mompracem leggendo Salgari.
Rivivo ancora la noia e la solitudine dell'infanzia e tutto quell'azzurro di cui non sapevo che fare.
Quella era l'estate degli anni sessanta,  nostalgia leggera e quieta di una stagione nella quale il discrimine fra essere poveri o ricchi  era tutto nel possedere o meno un mangiadischi.


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