L'ennesima recensione per il mio #bolognanoncepiu.
Quando penso che l'eco del romanzo abbia ormai esaurito i suoi effetti e decido che si è scritto tutto ciò che si poteva scrivere, ecco spuntare una nuova riflessione, efficace, completa, appassionata e non posso che passarvela così come è stata scritta in Critica letteraria che trovate qui.
#CriticaNera - La fragile realtà che ci circonda: "Bologna non c'è più" di Massimo Fagnoni
Bologna non c'è più
di Massimo Fagnoni
F.lli Frilli Editore
La differenza sostanziale tra noir e poliziesco credo risieda principalmente in un elemento di base: in entrambi i generi avviene un crimine che sovverte l’ordine della società in cui si commette. Tuttavia, se nel poliziesco il detective risolvendo il delitto riporta ordine nell'universo che lo circonda, nel noir il delitto è manifestazione esplicita dei problemi e delle contraddizioni che affliggono la società: la sua soluzione non riporta l’ordine, ma, anzi, lascia tutti i problemi che l’hanno causato irrisolti e scoperti. Li rende visibili, li smaschera. L’indagine, con le sue scoperte, infatti, solleva il tappeto sotto il quale chi detiene il potere nasconde i guai della realtà. Quest’azione di disvelamento è profondamente sovversiva e temuta: forse per questo ilnoir è sempre stato considerato un genere letterario basso e incolto, in gran parte delegittimato.
Sono ormai trascorsi alcuni decenni dagli anni di piombo. La Storia non ha ancora messo il cappello su quel periodo cruciale del nostro passato recente e forse siamo ancora tutti intontiti dal fumo delle bombe e dalle molte, forse troppe, parole scritte a caldo. Dall'inizio degli anni ’90 del secolo scorso, poi, ci dicono che il mondo è cambiato: Berlinguer è morto, non c'è più l'Unione Sovietica, non esistono più destra e sinistra, la classe operaia è scomparsa insieme alle industrie, quelle che resero grandi città come Genova, Torino e la rossa Bologna. L'identità di classe, ci raccontano, non esiste più e anche la lotta per difendere gli interessi degli ultimi è ormai, vogliono farci credere, anacronistica. Il mondo globale ha spostato altrove la classe operaia, ha de-localizzato la lotta. Eppure, leggendo Bologna non c'è più di Massimo Fagnoni si percepisce una strana sensazione: si ha come l'impressione che qualcosa della bella fiaba che ci hanno raccontato negli ultimi dieci, quindici anni, non torni. È come se mancasse qualcosa.
Bologna non c'è più, infatti, dà modo al lettore di capire che la classe operaia non è sparita, non è stata de-localizzata. Ha solo cambiato volto: è nell'insicurezza di un'insegnante precaria, nella frustrazione di un operatore di un call-center che vende contratti di fornitura elettrica per telefono, nella rabbia di una segretaria sfruttata. Ed è una classe debole, abbandonata e dispersa, che non ha più neanche il riparo di un sindacato e per questo è alla mercé della follia di un esaltato, in una città, Bologna, che ha perso la sua identità, ma non ancora la sua anima.
Mancano i punti di riferimento, quindi, spazzati via dal capitalismo selvaggio e dalla globalizzazione più spietata, e chi ancora non si arrende allo status quo, chi legge l'inganno e prova rabbia, non sa dove e come sfogarla. I partiti politici vivono in una realtà parallela e anche quelli nuovi, come il Movimento 5 Stelle, dimostrano tutta la loro debolezza. Non hanno fondamenta, l'abbandono delle ideologie non ha comportato l'arrivo delle idee e i programmi elettorali si reggono sul nulla.
Pensiamo di essere enormemente più ricchi rispetto a trent'anni fa: abbiamo lo smartphone, il computer portatile, il tablet e facciamo acquisti su Internet. Amazon è il nostro bottegaio. Viviamo in un'overdose costante di consumo: vogliamo e otteniamo sempre di più. La crisi di valori lascia un vuoto in cui sguazzano falsi ideologi come Pietro Ricci, il filosofo-psicologo-terrorista che organizza una cellula simil-brigatista facendo leva proprio sul vuoto lasciato dalla politica e dal sindacato. I componenti di questa sgangherata combriccola di bombaroli sono l’immagine stessa del disincanto che contraddistingue l’Italia d’inizio millennio: hanno le librerie vuote come il conto in banca, vivono in appartamenti condivisi, o con i genitori, fino alla soglia dei quarant'anni, sono frustrati, non si sposano, non fanno figli, sussistono senza un'idea a cui aggrapparsi; senza un progetto sopravvivono in una squallida inerzia quotidiana. E il vuoto che hanno intorno è il brodo di cottura del disincanto che porta alla deriva, che scoppia con l'impeto di una molotov in un call-center, come quello dove lavora Marco, uno dei rappresentanti di questa nuova classe operaia in rivolta. Il disincanto ha il sapore amaro della disperazione, nel senso di “assenza della speranza”: in un futuro migliore, in un progetto di vita. La generazione dei personaggi terroristi di Bologna non c’è più è già vecchia: vive con lo sguardo rivolto al passato in un presente costantemente in bilico.
Bologna non c'è più smonta anche l'ultimo grande mito del Novecento rimasto vivo: la famiglia. La tragedia più devastante del romanzo non è quella della bomba al call-center o della rapina al centro scommesse, ma quella che si consuma in seno alla famiglia Lazzarini, dove il giovane rampollo Wolfgango è un tossicodipendente viziato e infelice. L'unico antidepressivo che riesce a trovare il ragazzo è dentro una siringa e ha il sapore dell'eroina: la società nella quale vive non è in grado di dargli altro. Potenzialmente Wolfgango può comprarsi tutto tranne quello che gli servirebbe davvero, la felicità. Allora acquista da uno spacciatore di periferia il pass per l'inconsapevolezza, per quello stato mentale di assuefazione e rilassatezza che la droga riesce a dare in maniera così efficace. Prima è la mente a chiederglielo, poi il corpo: quello di Wolfgango trema e prude e ha un bisogno disperato della puntura magica. E così la famiglia si dissolve nella solitudine del ragazzo che affronta da solo le sue paure e il suo mondo, perdendo miseramente. Ma non solo: lo stesso Galeazzo Trebbi, protagonista e splendido investigatore privato, degno di essere affiancato ai suoi più illustri colleghi Pepe Carvalho e Jules Maigret, è padre di una figlia distrutta dal consumo di droga. Quando la madre di Wolfgango lo assume per controllarlo, Trebbi rivive la propria personale tragedia, trattenendo a stento il turbinio di emozioni che si scatenano nella sua testa.
Con Bologna non c’è più, Fagnoni sembra volerci mettere in guardia nei confronti della società che ci sta lentamente fagocitando. È tutto un gran baccano, un rumore costante e assordante che ci fa stare bene e anestetizza le nostre autodifese. Ha l'effetto di una droga che distorce la realtà e ci convince che viviamo nel migliore dei mondi possibili, con il risultato che non ci alziamo più in un “coro di vibrante protesta” (Fabrizio De Andrè, La domenica delle salme) e quando lo facciamo siamo completamente fuori controllo.
Bologna non c'è più lascia l'amaro in bocca come deve farlo un buon noir. Come da manuale, Galeazzo Trebbi risolve il caso e consegna il colpevole alla giustizia, ma non può rimettere ordine nel mondo, che resta inesorabilmente imperfetto e fragile, con l’unico inconveniente che ora, questa fragilità, è uscita allo scoperto e non possiamo più permetterci di ignorarla.
Mancano i punti di riferimento, quindi, spazzati via dal capitalismo selvaggio e dalla globalizzazione più spietata, e chi ancora non si arrende allo status quo, chi legge l'inganno e prova rabbia, non sa dove e come sfogarla. I partiti politici vivono in una realtà parallela e anche quelli nuovi, come il Movimento 5 Stelle, dimostrano tutta la loro debolezza. Non hanno fondamenta, l'abbandono delle ideologie non ha comportato l'arrivo delle idee e i programmi elettorali si reggono sul nulla.
Pensiamo di essere enormemente più ricchi rispetto a trent'anni fa: abbiamo lo smartphone, il computer portatile, il tablet e facciamo acquisti su Internet. Amazon è il nostro bottegaio. Viviamo in un'overdose costante di consumo: vogliamo e otteniamo sempre di più. La crisi di valori lascia un vuoto in cui sguazzano falsi ideologi come Pietro Ricci, il filosofo-psicologo-terrorista che organizza una cellula simil-brigatista facendo leva proprio sul vuoto lasciato dalla politica e dal sindacato. I componenti di questa sgangherata combriccola di bombaroli sono l’immagine stessa del disincanto che contraddistingue l’Italia d’inizio millennio: hanno le librerie vuote come il conto in banca, vivono in appartamenti condivisi, o con i genitori, fino alla soglia dei quarant'anni, sono frustrati, non si sposano, non fanno figli, sussistono senza un'idea a cui aggrapparsi; senza un progetto sopravvivono in una squallida inerzia quotidiana. E il vuoto che hanno intorno è il brodo di cottura del disincanto che porta alla deriva, che scoppia con l'impeto di una molotov in un call-center, come quello dove lavora Marco, uno dei rappresentanti di questa nuova classe operaia in rivolta. Il disincanto ha il sapore amaro della disperazione, nel senso di “assenza della speranza”: in un futuro migliore, in un progetto di vita. La generazione dei personaggi terroristi di Bologna non c’è più è già vecchia: vive con lo sguardo rivolto al passato in un presente costantemente in bilico.
Bologna non c'è più smonta anche l'ultimo grande mito del Novecento rimasto vivo: la famiglia. La tragedia più devastante del romanzo non è quella della bomba al call-center o della rapina al centro scommesse, ma quella che si consuma in seno alla famiglia Lazzarini, dove il giovane rampollo Wolfgango è un tossicodipendente viziato e infelice. L'unico antidepressivo che riesce a trovare il ragazzo è dentro una siringa e ha il sapore dell'eroina: la società nella quale vive non è in grado di dargli altro. Potenzialmente Wolfgango può comprarsi tutto tranne quello che gli servirebbe davvero, la felicità. Allora acquista da uno spacciatore di periferia il pass per l'inconsapevolezza, per quello stato mentale di assuefazione e rilassatezza che la droga riesce a dare in maniera così efficace. Prima è la mente a chiederglielo, poi il corpo: quello di Wolfgango trema e prude e ha un bisogno disperato della puntura magica. E così la famiglia si dissolve nella solitudine del ragazzo che affronta da solo le sue paure e il suo mondo, perdendo miseramente. Ma non solo: lo stesso Galeazzo Trebbi, protagonista e splendido investigatore privato, degno di essere affiancato ai suoi più illustri colleghi Pepe Carvalho e Jules Maigret, è padre di una figlia distrutta dal consumo di droga. Quando la madre di Wolfgango lo assume per controllarlo, Trebbi rivive la propria personale tragedia, trattenendo a stento il turbinio di emozioni che si scatenano nella sua testa.
Con Bologna non c’è più, Fagnoni sembra volerci mettere in guardia nei confronti della società che ci sta lentamente fagocitando. È tutto un gran baccano, un rumore costante e assordante che ci fa stare bene e anestetizza le nostre autodifese. Ha l'effetto di una droga che distorce la realtà e ci convince che viviamo nel migliore dei mondi possibili, con il risultato che non ci alziamo più in un “coro di vibrante protesta” (Fabrizio De Andrè, La domenica delle salme) e quando lo facciamo siamo completamente fuori controllo.
Bologna non c'è più lascia l'amaro in bocca come deve farlo un buon noir. Come da manuale, Galeazzo Trebbi risolve il caso e consegna il colpevole alla giustizia, ma non può rimettere ordine nel mondo, che resta inesorabilmente imperfetto e fragile, con l’unico inconveniente che ora, questa fragilità, è uscita allo scoperto e non possiamo più permetterci di ignorarla.
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