Galeazzo Trebbi, poliziotto ora in pensione che continua a lavorare come investigatore
privato,è serio integerrimo, ironico, simpatico ma un po’ burbero. Ha una certa fama
che lo precede
specialmente come esperto di adolescenti difficili, soprattutto da quando ha collaborato
con la giornalista televisiva Benedetti nell’ambito di una inchiesta per il ritrovamento
di una ragazzina scomparsa e ha una figlia in una struttura residenziale a causa di una
overdose
che l’ha gravemente menomata qualche anno fa. I Lazzarini, industriali bolognesi che
producono mangimi per animali salutari e curativi, lo ingaggiano per sapere cosa diavolo
combini il rampollo diciottenne, Wolfango, unico erede di tutta la baracca, che frequent
a un liceo privato – così di sicuro
al diploma ci arriva, pagando… – e con ogni probabilità anche un brutto giro. Al momento,
però,
in questo freddo due di gennaio dell’anno duemilatredici, si trova, coi muscoli piacevolmente
indolenziti per le molte bracciate a stile libero, davanti alla moderna macchinetta del caffè
nell’atrio della piscina Vandelli, incerto su quale miscela scegliere. Ce n’è una il cui nome
lo affascina, pensa a una bevanda esotica, un caffè brasiliano dal gusto forte. Lo incuriosisce
la sceglie. E si ritrova a trangugiare un bibitone dal sapore a metà fra il ginseng
e il fango di palude.
Almeno, questa è la descrizione che ne dà a un uomo davvero alto, più giovane di lui,
col codino nero e grigio, che gli si avvicina.
Un incontro simpatico…
Massimo Fagnoni è ormai un veterano della narrazione a tinte fosche:
dalla pluriennale collaborazione con la polizia locale della sua città,
Bologna, è scaturito infatti il desiderio di cimentarsi con il racconto
di vicende noir, incanalato, nel corso del tempo, in numerosi romanzi.
Adesso è il turno di Bologna non c’è più, che già a partire dal titolo,
molto efficace, riassume quello che è il tema fondamentale del
romanzo in cui torna come protagonista Galeazzo Trebbi, aiutato
ancora una volta nelle indagini dal commissario Guerra e circondato
come al solito da personaggi ben caratterizzati e singolari, individui
interessanti e mai banali. Al di là dell’intrigante vicenda propriamente
poliziesca, infatti, al centro della narrazione c’è la consapevolezza che
un certo modo di vivere, un tipo di mondo, di rete di relazioni umane,
non esiste più, inesorabilmente confinato nel cassetto dei ricordi,
quando la realtà era diversa ed erano differenti le persone, le speranze,
le aspettative, gli ideali, le città e le caratteristiche morfologiche
e dell’umanità che le abitava, che le rendevano uniche e riconoscibili.
Al tempo stesso però il vagheggiamento del passato non è solo
un esercizio di nostalgia, ma un modello di comportamento:
ovviamente per chi si muove al di là del confine della legge.
C’è di nuovo tanta povertà in giro, e più rabbia che mai:
Trebbi deve fare i conti con sé e col passato tragico degli anni di piombo
e con i fermenti che agitano certi circoli della sinistra radicale,
oltre che con un ragazzino senza arte né parte…
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