Poche sere fa ero a cena al Cucco agriturismo dal 1999, ma come sapete io non scrivo per pubblicizzare nessuno, scrivo di ciò che mi piace, di ciò che conosco, e il Cucco lo conosco perché una o due volte l'anno mi ritrovo a cena con alcuni vecchi amici, compagni della gloriosa sezione G del liceo Righi di Bologna, pensate un po', ci incontriamo ancora, e io sono uno dei meno assidui.
Il Cucco è un bel posto, si mangia bene e chi vuole saperne di più clicchi sul link sopra.
Alessandra e Angelo li conosco dai tempi del liceo o giù di lì, amici di amici e un po' amici miei ormai dopo tante cene a un tiro di schioppo da casa mia.
Ma non voglio parlare più del Cucco, bensì del libro che Alessandra ha scritto, Che ne sai tu di un campo di grano mitica canzone di Battisti, mio amore giovanile, in senso musicale chiaramente.
Ho letto il libro in un paio di giorni, l'ho gustato come uno dei loro piatti, come uno dei loro vini, e ho compreso meglio la loro storia, e quando tornerò lì a mangiare osserverò meglio gli arredi, le persone.
E' un libro autentico, racconta una storia buona, una storia coraggiosa, fatta di scelte, di sacrifici, e di ottimi risultati. Io non avrei mai potuto fare ciò che Alessandra e Angelo hanno fatto, mollare la città e decidere di vivere vicino ad Altedo, fra Bologna e Ferrara, imparando un mestiere difficile, complicato dalla burocrazia del nostro paese malsano, soffocato da tasse, balzelli, ostacoli, insidie umane e della natura.
Loro ce l'hanno fatta, vivono del loro lavoro, hanno creato un luogo magico, l'hanno riempito di una buona atmosfera e sanno accogliere, nutrire e coccolare le persone che transitano da quelle parti.
Il libro è asciutto, non indulge a sentimentalismi campestri, non è retorico, racconta la loro storia, storia non definitiva ma in divenire, come tutte le imprese nel nostro paese.
Per chi volesse provare, per chi come me fa altro ma apprezza il coraggio, e per chi vuole leggere in poche pagine un'avventura concreta e positiva, consiglio questo libro della Maglio editore.
Io sono uno che racconta storie, quasi sempre nere, lo ammetto, ma a modo mio vitali, sono convinto che sia un bel modo per riempire gli spazi, una sorta di terapia contro il male di vivere e una professione no profit in conclusione. Pensavo fosse difficile coniugare pragmaticità a creatività narrativa, mi sbagliavo. Alessandra ha fatto bene a raccontarsi, rende ancora più credibile la loro avventura.
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